Ogni volta il termine di un anno è accompagnato dalla consapevolezza del tempo e dal senso di spaesamento davanti al suo scorrere inesorabile e, forse, troppo rapido. Affrontiamo questo discorso e teniamoci compagnia fino al nuovo anno attraverso un buon libro.
Gente nel tempo è un romanzo di Massimo Bontempelli pubblicato per la prima volta a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” nel 1936 e in volume nel 1937; oggi abbiamo la possibilità di leggerlo grazie al lavoro di una casa editrice emergente e coraggiosa. La nuova edizione, di 192 pagine, viene pubblicata nel 2020 ed ha un costo di €16,00. Il nome dell’editrice è Utopia ed ha come obiettivo quello di raccogliere e proporre ai lettori le voci più rappresentative di una letteratura di qualità, attraverso opere non più in circolazione o testi mai tradotti prima in italiano. La qualità di Gente nel tempo probabilmente è racchiusa nel suo essere espressione, quasi paradigmatica, del realismo magico del ‘900 italiano. Proprio nella sua rivista 900, curata insieme a Curzio Malaparte, Bontempelli stesso illustra i propositi della sua attività di scrittore: “niente mille e una notte. Piuttosto che di fiaba abbiamo sete di avventura. La vita più quotidiana e normale vogliamo vederla come un avventuroso miracolo, come un rischio continuo”1. La tensione perenne che ci tiene attaccati alle pagine del libro, in Gente nel tempo, è senza dubbio garantita dalla profezia della Grande Vecchia, con cui si apre il romanzo. In una scena quasi cinematografica, di un impatto folgorante, l’anziana capostipite della famiglia Medici, circondata dal figlio Silvano, la nuora Vittoria e le due nipotine Nora e Dirce, li saluta prima della dipartita preannunciandone la morte in giovane età. Il resto del romanzo è come un eco che si propaga dal personaggio imponente della Grande Vecchia (nonostante sia protagonista di un solo capitolo) e dalla sua maledizione che sembra avversarsi quando, a distanza di cinque anni l’uno dall’altro, moriranno prima Silvano e poi Vittoria. La narrazione si fa, dunque, accattivante perché segue l’ossessione costante dei personaggi nei riguardi del tempo e porta il lettore stesso a tenere il conto degli anni che, inesorabilmente, scorrono. Lungo la strada che conduce la famiglia Medici nella “fornace del tempo”, come sottolinea Marinella Mascia Galateria nella Prefazione, gli uomini e le donne di questo libro sono alla ricerca di un senso, un ordine, una regola. All’inizio sembra essere la Grande Vecchia a dominare il caos e a garantire stabilità alla famiglia e al mondo, attraverso l’autorevolezza che priva i suoi familiari del caso, dell’incertezza, del futuro. Con la sua morte, però, i personaggi sono costretti ad imbattersi con queste circostanze e, spaventati, si arrendono alla maledizione dei cinque anni: come prima la capostipite sospendeva le loro responsabilità attraverso l’austerità, ora è la profezia che domina e manovra le loro esistenze. Alla corsa contro il tempo si accompagna una disperata ricerca di salvezza, attraverso la costruzione di un destino logico capace di sollevare i protagonisti dalle paure della libertà e dal panico delle responsabilità. Silvano, infatti, alla morte della madre, si sente spaesato quando comprende che “ora è il padrone e può comandare”. L’autore stesso alcune volte sembra compatire i suoi personaggi, interrompendo consapevolmente la finzione narrativa per anticipare o esprimere giudizi amari e distaccati, profonda impronta del suo stile. Nella disputa eterna tra le due sorelle, rimaste le uniche due eredi dopo la morte dei genitori, la domanda sospesa al termine del romanzo è: siamo certi che a sopravvivere sarà quella che resta in vita? L’esistenza sotto la morsa costante dell’angoscia e l’incalzare del tempo, che pare aver stabilito una scadenza quinquennale, sembra infatti essere più una morte. Un libro dunque intenso, in cui la narrazione unisce il thriller al mondo magico-onirico: ne risultano personaggi succubi del destino e una trama originale, che stimola nel lettore anche considerazioni esistenziali. 1 Massimo Bontempelli, Analogies, “900”, 4, 1927, pp.7 Autorə: Noemi Iacoponi
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L'importanza del cinema
In quest'ultimo anno le sale dei cinema sono rimaste chiuse a causa della pandemia e l'industria cinematografica ha avuto una brusca frenata. Da quell'ottobre 1919, quando in America i cinema chiudevano per la Spagnola, a quel 8 Marzo 2020 in cui, cento anni dopo, tutte le sale tornano a chiudere per l'emergenza del virus che dilaga in tutto il mondo. Ma se c'è qualcuno che ha sofferto di questa situazione, c'è qualcuno che ne ha beneficiato, come le piattaforme streaming. E' stata registrata, infatti, un'impennata epica degli abbonati alle principali piattaforme streaming tipo Netflix, Prime Video e Disney+. Le grandi produzioni hanno smesso di girare film con budget importanti per via delle restrizioni e ciò ha decretato un inevitabile crollo degli incassi. Le grandi aziende dello streaming internazionale hanno potuto così beneficiare di miliardi di visioni di utenti, aumentando così la quantità degli incassi e di conseguenza la loro possibilità di offrire contenuti cinematografici. In effetti Netflix, come prima e più famosa piattaforma streaming, conta nel suo catalogo precisamente 2879 titoli tra film e serie tv, di cui 584 originali prodotti dalla società statunitense. Se dapprima ogni amante del cinema, con molta certezza, ha apprezzato questa ricca offerta, poi però con il trascorrere del tempo ha cominciato a soffrire della mancanza del grande schermo. Mancava tutto: dal proiettore all'audio dolby surround, dagli immancabili pop corn all'odore della sala, dal religioso silenzio degli spettatori alle risate dei film più comici. Ma soprattutto, si è sentita la mancanza dei colossal, di quelle grandi e sfarzose produzioni di film con cast da sogno che le aziende streaming ancora non riescono a permettersi e che solo il cinema può offrirci. Ma si limitano a questo le cose di cui ci hanno privato con la chiusura dei cinema? C'è molto di più. Abbiamo perso il luogo di aggregazione sociale per vedere i film insieme a tutti i nostri amici, e aspettare con trepidazione la fine per commentare la trama, la regia e l'interpretazione degli attori. Abbiamo perso la qualità delle storie: le piattaforme digitali producono film velocemente per fornire continuamente il mercato di titoli nuovi peccando di stile e originalità. Abbiamo perso la sensazione di completa immersione che ti regala la sala del cinema, che non sarà mai paragonabile ad una visione da divano o da letto. Abbiamo perso tanto, sperando che torni presto la normalità. Tutto questo tempo in cui siamo stati distanti dalle sale cinematografiche, sicuramente ci ha reso più consapevoli sul reale valore e significato del cinema. Valore che vorremmo condividere al più presto con il nostro paese che, se non riuscisse a riaprire lo storico Cinema Arlecchino, potrebbe trovare altre soluzioni come un cinema all'aperto estivo o un cineforum per il dibattito diretto tra la gente. Cosa ne pensate signore e signori? Visitate la mia pagina Facebook “Captain Movie” e fatemi sapere! AUTORə: Leonardo Malaigia I rifiuti sono parte integrante della nostra quotidianità. Solo in Italia, nel 2019 sono stati prodotti circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti1 . Dei 6.3 di rifiuti in plastica generati finora, solo il 9% è stato riciclato. Il restante 79 % è stato accumulato in discariche o disperso in ambienti naturali2. Urge sempre di più una rivoluzione culturale e sociale, attraverso la quale si trasmetta informazione alla popolazione per l’attuazione di pratiche sostenibili, e si concretizzi un sistema economico circolare basato sulla rigenerazione di materie prime. Un punto di riferimento per il concetto di rigenerazione rifiuti è il libro “Dalla culla alla culla”, di Michael Braungart e William McDonough. La nozione base proposta nell’introduzione del libro è che “riciclare non è sufficiente”. Il modello “dalla culla alla culla” si fonda su un’economia circolare, nella quale un prodotto viene progettato, creato, ed offerto, considerando il suo intero ciclo di vita, ed il suo seguito. Attraverso questo sistema ciclico vengono rigenerate materie prime recuperate dal flusso di massa di materiali precedentemente utilizzati. Ad esempio, i beni durevoli (automobili, televisori, cellulari, fibre sintetiche ecc.) vengono disassemblati a seguito del loro utilizzo da parte del consumatore, col fine di recuperare i componenti tecnici che andranno a produrre nuovi beni durevoli. In tal modo i materiali vengono utilizzati continuamente nel cosiddetto “ciclo tecnico”. I beni di consumo come vestiario, prodotti cosmetici, detergenti, vengono invece pensati e creati con l’uso di materiali che possono essere reinvestiti nel “ciclo biologico”. Una volta “gettati”, serviranno da nutrienti biologici per la crescita di nuove materie prime, ad esempio di piante, che costituiranno la base di successivi prodotti. Il modello sottolinea l’importanza di mantenere separati il ciclo tecnico da quello biologico, in maniera tale da non creare i cosiddetti “ibridi mostruosi”, ossia quei prodotti realizzati con componenti tecnici e naturali non separabili, e quindi non riutilizzabili nei rispettivi cicli. Il principio base del modello è quello di garantire qualità prima di quantità, e di massimizzare i benefici per l’uomo, l’ambiente, e la conservazione di materie prime. Il libro fa riferimento all’albero del ciliegio come esempio di “eco-efficacia”, nel quale ogni elemento, dai fiori ai frutti, inclusi quelli che cadono a terra, vanno a nutrire l’albero stesso e l’ecosistema attorno ad esso. I concetti preposti non rappresentano utopie, ma linee guida possibili ed utilizzate nella produzione industriale già da tempo dai due autori, l’architetto americano Mcdonough e il chimico tedesco Braungart. Fino ad oggi abbiamo costruito un modello di economia nel quale si predilige la quantità rispetto alla qualità, ma soprattutto abbiamo reso i rifiuti parte integrante della normalità. Consapevolezza e richieste da parte dei consumatori verso ciò che viene prodotto sono essenziali per garantire un impegno dalle industrie produttrici e porre le basi per un cambiamento economico e sociale. Esempi di iniziative “zero-waste”, ossia “rifiuti zero”, sono già largamente diffuse in tutto il mondo, anche in Italia. Nel 2007 Capannori è stato il primo Comune d’Italia ad attuare una strategia “Rifiuti Zero”, introducendo una rivoluzione culturale di economia circolare ed arrivando a differenziare ben l'88,13% dei suoi rifiuti (dati 2017 certificati dalla Regione Toscana nel 2018). Dall’iniziativa sono nati numerosi progetti, come “Famiglie Rifiuti Zero”, che mira a diffondere informazione e creare una comunità consapevole riguardo a temi di sostenibilità ambientale. Le famiglie aderenti ricevono agevolazioni e sconti se si utilizzano pannolini lavabili o se viene praticato il compostaggio domestico. Nel comune sono inoltre presenti centri dove è possibile donare oggetti non utilizzati per ri-collocarli su un mercato solidale, mentre la squadra speciale “acchiapparifiuti” si occupa di recuperare rifiuti abbandonati individuati dalle segnalazioni dei cittadini via Whatsapp. Kamikatsu, un piccolo villaggio a sud-ovest del Giappone, dal 2005 si è proposto di abbandonare completamente l’uso di inceneritori e riciclare il 100% dei rifiuti prodotti dai suoi abitanti. Ad oggi, l’81% degli scarti vengono rigenerati dallo Zero Waste Center, un’isola ecologica in cui i cittadini differenziano personalmente i propri rifiuti. Solo il 19 % dei rifiuti rimanenti, che hanno difficoltà ad essere riciclati (ad esempio pannolini e prodotti sanitari), vengono loinceneriti. La comunità di Kamikatsu è divenuta un punto di riferimento di gestione e rigenerazione di rifiuti in un Paese, il Giappone, che è il secondo più grande produttore al mondo di plastica dopo gli Stati Uniti. I cambiamenti sociali partono dal cittadino, da ciò che richiede e dimostra di voler migliorare. Nel caso della rigenerazioni di rifiuti, i cambiamenti possono avere inizio all’interno delle nostre stesse case, rivalutando ciò che gettiamo ogni giorno. L’attitudine più diffusa è quella di ignorare i processi successivi allo scarico dei nostri rifiuti nei bidoni. E’ comprensibile, siamo abituati ad acquistare grandi quantità di prodotti a ritmi frenetici, e sarebbe impossibile chiedersi dove vanno a finire tutti quegli oggetti. Una consapevolezza può essere costruita a piccoli passi nella scelta di ciò che acquistiamo e nel riutilizzo in casa di quei prodotti che possono rigenerarsi in nuovi materiali anziché diventare rifiuti. Come comprovato dalle varie tesi non è più sufficiente riciclare al giorno d’oggi, dobbiamo quindi promuovere un’azione di riutilizzo degli oggetti e dei materiali adoperati nella quotidianità dandogli nuova vita. Ognuno di noi ha la possibilità e il dovere di poter contribuire nella diffusione e nell’impiego di questi piccoli accorgimenti che a lungo termine possono fare la differenza. Consigli pratici per uno stile di vita sostenibile: A CASA
1 Rapporto Rifiuti Urbani ISPRA 2020, www.isprambiente.gov.it 2 https://www.nationalgeographic.com/science/article/plastic-produced-recycling-waste-ocean-trash-debris-environment Autorə: Giulia Cecchi, Laura Milozzi Cosa significa rigenerare? Che cosa implica rigenerarsi come donna? In quali modi si può intraprendere questo processo?
Rigenerare significa dare nuova vita, generare nuovamente un qualcosa. Anche un individuo ha la possibilità di rigenerarsi in vari modi. Ad esempio, la donna si è trovata e si trova tutt’oggi a rigenerarsi come singolo riaffermando la propria individualità al di fuori degli schemi predefiniti. Andando contro i paradigmi imposti dalla società patriarcale, la donna mette in atto uno dei principali motori di rigenerazione, la trasgressione. Ma facciamo un passo indietro. Nella società occidentale il ruolo della donna da sempre è associato a quello di moglie e madre. La funzione sociale molto spesso svolta era quella di restare a casa occupandosi dei figli e del focolare domestico, impossibilitata a studiare, lavorare, votare ed esprimere la propria individualità. In queste circostanze, la collocazione della donna nella scala sociale diventa subordinata a quella dell’uomo, il quale al contrario è generalmente attivo dal punto di vista sociale, lavorativo, politico ed individuale. Secondo gli standard dell’epoca, la donna ideale riveste un ruolo ausiliario, che consiste nel procreare e nel prendersi cura della prole e della casa. Specialmente in Italia, la Prima guerra mondiale costituisce un momento di svolta. Le donne vengono chiamate a lavorare nelle fabbriche per prendere il posto degli uomini che sono stati mandati in guerra. Inoltre, nascono figure come “la maestra” e “la crocerossina”, professioni mediante i quali le donne possono acquisire la loro individualità sentendosi realizzate nel lavoro e come persone, ovviamente sempre secondo la classe sociale e la parte di Italia da cui provengono. Dal punto di vista letterario occidentale, la figura della donna ha svolto diverse funzioni che poeti e scrittori le hanno assegnato. Verso la fine del 1200 prende vita la corrente letteraria del Dolce Stil Novo, che introduce la figura della donna angelo. La donna angelica trascende la realtà ed ha la funzione di indirizzare il poeta a Dio, l’amore è puramente platonico senza nessuna connotazione carnale o passionale. Basti pensare alla figura di Beatrice che guida Dante lungo il suo viaggio dal Purgatorio al Paradiso, caratterizzata da bellezza trascendente, purezza e nobiltà d’animo. Nonostante la donna sia elevata a guida spirituale, tutto ciò che emerge dalla descrizione dei poeti è la sua trascendente bellezza che viene strumentalizzata dal poeta per arrivare a Dio. Nel ‘500 italiano, una delle donne più famose della letteratura è Angelica, che con la sua bellezza e fascino fa innamorare alla follia tutti i cavalieri più virtuosi, compreso Orlando, che furioso dalla gelosia perde il senno. Anni più tardi troviamo Leopardi che racconta di Silvia, il suo amore di gioventù, diventata immortale grazie al poeta che la usa come metafora per la caducità della vita. Dall’altra parte, Manzoni presenta nei Promessi Sposi diverse figure di donne, tra cui Lucia, protagonista del romanzo, che incarna l’ideale della cristiana perfetta, timorata di Dio e fiduciosa nella Provvidenza. In tutti questi esempi, la donna è sempre rappresentata attraverso il male gaze - sguardo maschile. Ovvero, le figure femminili presenti nella letteratura italiana sono sempre state delineate da uomini, che hanno fornito la loro visione ed il loro ideale di donna. Essendo letteratura e società strettamente interconnesse, si sono influenzate a vicenda creando visioni stereotipate della donna che con il tempo si sono radicate nella società. Ciononostante, a livello letterario, specialmente nel XIX secolo in Inghilterra, le donne iniziano a leggere e a sperimentare con la scrittura durante il loro tempo libero in casa, reinventando il loro ruolo relegato puramente alla cura del focolare domestico. Infatti Jane Austen, le sorelle Bronte, Mary Shelley ed altre insieme a loro, hanno trasgredito alle regole sociali che le bloccavano, pubblicando romanzi in anonimato o con uno pseudonimo, diventando pilastri della letteratura inglese. Nel contesto italiano, nonostante la lista di donne scrittrici sia lunga, le prime voci riconosciute risalgono alla fine dell’Ottocento, inizi del Novecento. Infatti le prime poetesse e scrittrici erano solite scrivere per loro stesse, di nascosto poiché non era una cosa loro permessa. La scrittura diventa simbolo di trasgressione attraverso cui avviene la rigenerazione della donna. Trasgredendo le regole, un processo di ri-nascita e ri-costruzione viene portato avanti dalla donna stessa che riacquista la propria voce e la propria individualità, liberandosi da quel male gaze che l’ha vista fino ad ora come moglie e madre, ausiliaria, passiva, e sottomessa dalla struttura sociale patriarcale. La complessità di questo discorso è esposta, sotto forma di romanzo, nel libro Quaderno proibito di Alba de Cèspedes, di cui vi proponiamo una recensione critica. Alba de Céspedes nasce a Roma nel 1911 e muore a Parigi nel 1997. Nipote del primo presidente di Cuba e figlia del ministro cubano a Roma, durante la sua vita scrive novelle, poesie, sceneggiature, romanzi in italiano e poi in francese; cura una rivista a partire dal 1944, Mercurio; vive in esilio volontario durante il Fascismo e dirige una trasmissione radiofonica in cui invita alla Resistenza. Nelle sue opere è profondamente rilevante l’assunzione e la predilezione del punto di vista femminile, in costante relazione e confronto con il maschile. Lo sguardo interiore con cui vengono raccontate le storie, sempre dalla parte del personaggio-donna, coglie ed anticipa molti temi della condizione femminile degli anni a seguire, descrivendo e proponendo importanti percorsi di emancipazione e rigenerazione dell’essere donna. Quaderno proibito, pubblicato in volume da Mondadori nel 1952, è il ritratto di una famiglia nel contesto sociale della borghesia italiana degli anni ’50. È scritto sotto forma di diario, costantemente redatto dalla protagonista Valeria: la scrittura evidenzia la sua soggettività e per lei scrivere vuol dire prendere gradualmente coscienza di sé, del contesto sociale e dell’ipocrisia dei rapporti familiari. Scrivere rigenera la soggettività femminile della protagonista e le consente un autoesame critico, attraverso cui guardare se stessa e la sua vita. Valeria è impiegata in un’azienda, sposata con Michele ed ha due figli, Mirella e Riccardo. Il suo quaderno è “proibito” perché viene acquistato di domenica, quando i cartolai dovrebbero vendere soltanto i giornali: lo diventerà anche da un punto di vista più esistenziale quando la donna inizierà a scriverlo segretamente, nascondendolo ai familiari e cercando “una stanza tutta per sé” per scrivere in solitaria e di notte. Le virgolette contengono un titolo fondamentale, di Virginia Woolf, per il rapporto problematico donne-scrittura e forse la sua lettura è ancora oggi necessaria per la rigenerazione di stereotipi, mentalità, idee condivise a priori e per tradizione. “Se riusciremo, ciascuna di noi, ad avere cinquecento sterline l’anno e una stanza tutta per sé; prenderemo l’abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; se ci allontaneremo un poco dalla stanza di soggiorno comune e guarderemo gli esseri umani non sempre in rapporto l’uno all’altra ma in rapporto alla realtà; e così pure il cielo, e gli alberi, o qualunque altra cosa, allo stesso modo […] allora si presenterà l’opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, riprenderà quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare. Prendendo vita dalla vita di tutte le sconosciute che l’avevano preceduta, come suo fratello aveva fatto prima di lei, lei nascerà. Ma che lei possa nascere senza quella preparazione, senza quello sforzo da parte nostra, senza la precisa convinzione che una volta rinata le sarà possibile vivere e scrivere la sua poesia, è una cosa che davvero non possiamo aspettarci perché sarebbe impossibile.” A distanza di più di 90 anni, la nascita di quella poetessa donna, ovvero la ri-nascita di tutte coloro che non hanno potuto esserlo, dipende ancora da noi, donne e uomini cui spetta il compito di trasformare in azione la presa di coscienza (in questo caso letteraria) di donne come Valeria. Lei e il suo quaderno danno voce all’intera generazione di italiane degli anni ’50. E se, nelle sue pagine, la protagonista esprime le frustrazioni e spesso il desiderio di vendetta, è perché la sua vita è fatta di una rinuncia al desiderio di libertà, per cui si arrende ed accetta il conformismo morale e le ambiguità della famiglia. Il bisogno del quaderno riflette il desiderio di comunicazione che Valeria reprime all’interno della sua vita: nelle pagine del diario conquista uno sguardo critico sulla realtà e assume consapevolezza dell’ipocrisia e della subordinazione, soprattutto nel caso del rapporto coniugale. È l’autocritica che permette a Valeria di rigenerare la considerazione dei legami intorno a sé, acquisendo coscienza della società maschilista ed androcentrica di cui prima, essendone completamente avvolta e circondata, non coglieva l’incisività. Aprirà gli occhi la donna, scrivendo le sue pagine proibite, spezzerà il velo dell’illusione, dell’incoscienza, sbattendo duramente con la reale essenza della sua esistenza. Riuscirà, Valeria, a superare i tradizionalismi, le convenzioni e le necessità della sua famiglia per seguire l’impulso che la scrittura del diario le ha provocato e investire in quella sorta di vita rigenerata, consapevole, lucida, libera? Non vogliamo raccontarvi cosa Alba de Céspedes decide per lei, ma noi possiamo decidere per le nostre di vite, e forse questo libro ci consegna una visione che può aiutarci a farlo. 1 Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, trad. it. Maria Antonietta Saracino, Einaudi, Torino, 2016, pp. 231-233. AUTORə: Noemi Iacoponi, Marta Egidi Dallo spazio fisico allo spazio delle idee Quello della rigenerazione per il Common Bubble è un concetto fondamentale. Dopo la riapertura della biblioteca comunale “Ada Natali”, il blog nasce come spazio di rigenerazione delle idee attraverso il confronto, lo scambio, l’informazione, la cultura. Qui infatti vogliamo inaugurare la prima serie di articoli nati dal concetto di RIGENERAZIONE. Questo concetto fondamentale, declinato nei diversi ambiti di cui, chi scrive, si sente maggiormente consapevole ed interessato, sarà la prima scintilla che speriamo sarà capace di mettere in moto la necessaria rigenerazione di menti! Chi meglio di un gruppo di giovani si può cimentare nella ri-discussione di un concetto di ri-generazione? Rigenerare: per non fermarsi ad un solo punto di vista, allargare le prospettive delle proprie idee e attuare una rivoluzione intorno a sé partendo dai piccoli gesti quotidiani. Creare spazi ed opportunità di condivisione è quel punto di partenza in grado di generare innovazione, novità e la nostra traccia di realtà! “Basta vivere da uomini, cioè cercare di spiegare a se stessi il perché delle azioni proprie e altrui, tenere gli occhi aperti, curiosi su tutto e tutti, sforzarsi di capire; ogni giorno di più l'organismo di cui siamo parte, penetrare la vita con tutte le nostre forze di consapevolezza, di passione, di volontà; non addormentarsi, non impigrire mai; dare alla vita il suo giusto valore in modo da essere pronti, secondo le necessità, a difenderla o a sacrificarla. La cultura non ha altro significato”. 1
Durante una pandemia mondiale, in cui la staticità e la pigrizia potrebbero prendere il completo sopravvento, cosa significa non “addormentare” le consapevolezze, le passioni, le volontà? Come ci si può riuscire? In che modo la cultura, oggi più che mai, può ancora avere questo significato? Se ad Aprile 2021, le ricerche dell’AIE (Associazione Italiana Editori) registrano una crescita del 26,6% nella vendita di libri, con la ripresa d’importanza della carta stampata, può voler dire che leggere, durante il lockdown, è stata un’esperienza rigeneratrice e capace di non far addormentare. Come sembrano confermare le statistiche, il primo passo per combattere il rischio dell’apatia mentale e di un “impigrimento” culturale, sta nel semplice acquisto di un libro. Il significato di cultura come mezzo, per “dare il suo giusto valore” alla vita e penetrarla con consapevolezza, può essere abbracciato anche attraverso iniziative come quella di questo blog che il Common Bubble ha voluto animare. Mettere in circolo idee attraverso il confronto, il dialogo, lo scambio significa - continuando a rimandare alla citazione iniziale - “vivere da uomini”, farlo insieme e permettere la rigenerazione di uno spazio culturale che sia, poi, in grado a sua volta di rigenerare. La cultura diventa, così, uno spazio in cui rigenerarsi, in diversi sensi: è un ristoro per l’anima se pensiamo alla storia di un libro che ci fa viaggiare con la sola fantasia; è un beneficio per il vivere sociale perché nasce da confronti dialettici, basati sulla condivisione di esperienze e l’ascolto degli altri; ha valore politico nel senso di “cosa pubblica” perché è in grado di sollevare questioni, porre interrogativi, e stimolare la ricerca di soluzioni. Va detto, però, che oggi questa nostra visione di cultura come spazio che rigenera è quasi di controtendenza, soprattutto dal punto di vista politico-economico. La pandemia, infatti, ci ha dimostrato come i cinema, i teatri, le mostre, gli spettacoli, i concerti, possano meritare un posto tra gli ultimi nella lista delle priorità e dei bisogni della società italiana. “Festival di Sanremo 2021 26 cantanti solo tra loro oltre cinquantamila concerti oltre mille live club oltre diecimila persone che non lavorano più da un anno ma non sarà per sempre credeteci i nostri fiori non sono ancora rovinati.” 2 Così si concludeva l’esibizione dello Stato Sociale nella terza serata del festival di Sanremo in pandemia, con un richiamo ai tanti lavoratori e ai tanti artisti che viaggiano nella macchina della cultura. Perché, però, dev’essere richiesta in Eurovisione l’attenzione ad un problema che riguarda qualcosa di così profondamente intrecciato con la vita di ognuno, di così vicino a ciascuna esistenza? La cultura ridotta ad accessorio, passatempo, intrattenimento opzionale perde ogni sua valenza, ogni potere e viene svuotata della sua energia capace di rigenerare, agitare, mettere in moto, di cui invece, proprio a seguito di uno stop così brusco e forzato, ogni società civile intelligente avrebbe bisogno. Tornando indietro nel tempo troviamo un esempio di come la cultura sia stata utilizzata intelligentemente per rigenerare un paese in crisi. L’Italia reduce dal fascismo e dalla guerra, infatti, ha fame di cultura e bisogno di conoscere: Elio Vittorini, alla direzione del periodico “Politecnico”, vuole soddisfarne le richieste attraverso un’elevazione del livello culturale; la formazione di una coscienza politica; la promozione del contributo delle masse. L’idea del “Politecnico” nasce a Milano, tra il 1943 e il 1944. Si tratta di una data significativa, storicamente legata alle vicende della Seconda guerra mondiale, del dopoguerra, del fascismo e del suo declino. Viene ideato negli anni della Resistenza e spinge dalla necessità improrogabile di rigenerare una nuova cultura che si occupi di “pane e lavoro” (così dirà Vittorini). I giovani sono il referente privilegiato, sia come destinatari che in qualità di fautori di una cultura che raccolga le ceneri della guerra e fondi la rinascita della società italiana del dopoguerra. La nuova cultura del “Politecnico” si basa su un discorso tra le arti, tra i diversi interessi; sull’apertura internazionale e sulla prospettiva di un modo lucido, penetrante e molteplice di presentare i problemi del paese. La dimensione, a livello editoriale, è quella di un laboratorio, aperto, teso ad un costante rinnovamento e costituito da personaggi provenienti da diversi ambiti. La letteratura del dopoguerra, quella che tenta di rigenerare e rigenerarsi, è inedita e strettamente collegata alla vita, coniuga l’arte e la cultura alla società. La cultura può, quindi, davvero giocare un ruolo importante nella ripartenza di un paese e non essere solamente qualcosa di superfluo. In passato è stata, come abbiamo visto, capace di generare nuovamente stimoli significativi perché le è stato riconosciuto il giusto peso e ne è stato valorizzato il significato. Non farlo oggi è pericoloso e penalizzante soprattutto per le generazioni future. Per ribadire come la cultura sia in grado di operare e di svolgere un’azione determinante possiamo ricordare due esempi della letteratura distopica. Da una parte in Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, dove la lettura è reato e ogni libro è condannato all’incendio; dall’altra 1984 di George Orwell ci descrive come la privazione del linguaggio, che genera la morte delle idee, consenta al potere di assoggettare una società. La mancanza di cultura, perciò, indebolisce, subordina e svuota l’uomo: dovrebbe essere naturale, quindi, coglierne il peso e l’essenza capaci di essere benefici, produttori, rigeneratrici di una società consapevole. La letteratura e la cultura, dunque, sono in grado di rigenerare nel momento in cui mettono in moto processi, aprono prospettive, mostrano direzioni e promuovono dialoghi. E forse il motivo per cui l’esperienza letteraria può essere rinnovatrice anche di una società è perché essa nasce ed emerge penetrando a fondo le stesse dinamiche sociali. Con le parole di Vittorini: “un libro è come se fosse stato scritto impersonalmente, da tutti coloro che hanno avuto o conosciuto o comunque sfiorato la mia stessa esperienza”. 3 E se un libro è di tutti coloro che sono immersi in una società; la cultura, le idee, il pensiero, non possono che essere capaci di immettere nel contesto dal quale sorgono istanze di rinnovamento e promuovere stimoli capaci di innescare la rigenerazione di qualcosa. 1 Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1947. 2 Lo Stato Sociale, Non è per sempre in Combat Pop, Garrincha Dischi, 2021. 3 Elio Vittorini, Prefazione al Garofano rosso, Mondadori, Milano, 1948. AUTORə: Noemi Iacoponi, Laura Milozzi, Federica Coccetti. |
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December 2021
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