L'importanza del cinema
In quest'ultimo anno le sale dei cinema sono rimaste chiuse a causa della pandemia e l'industria cinematografica ha avuto una brusca frenata. Da quell'ottobre 1919, quando in America i cinema chiudevano per la Spagnola, a quel 8 Marzo 2020 in cui, cento anni dopo, tutte le sale tornano a chiudere per l'emergenza del virus che dilaga in tutto il mondo. Ma se c'è qualcuno che ha sofferto di questa situazione, c'è qualcuno che ne ha beneficiato, come le piattaforme streaming. E' stata registrata, infatti, un'impennata epica degli abbonati alle principali piattaforme streaming tipo Netflix, Prime Video e Disney+. Le grandi produzioni hanno smesso di girare film con budget importanti per via delle restrizioni e ciò ha decretato un inevitabile crollo degli incassi. Le grandi aziende dello streaming internazionale hanno potuto così beneficiare di miliardi di visioni di utenti, aumentando così la quantità degli incassi e di conseguenza la loro possibilità di offrire contenuti cinematografici. In effetti Netflix, come prima e più famosa piattaforma streaming, conta nel suo catalogo precisamente 2879 titoli tra film e serie tv, di cui 584 originali prodotti dalla società statunitense. Se dapprima ogni amante del cinema, con molta certezza, ha apprezzato questa ricca offerta, poi però con il trascorrere del tempo ha cominciato a soffrire della mancanza del grande schermo. Mancava tutto: dal proiettore all'audio dolby surround, dagli immancabili pop corn all'odore della sala, dal religioso silenzio degli spettatori alle risate dei film più comici. Ma soprattutto, si è sentita la mancanza dei colossal, di quelle grandi e sfarzose produzioni di film con cast da sogno che le aziende streaming ancora non riescono a permettersi e che solo il cinema può offrirci. Ma si limitano a questo le cose di cui ci hanno privato con la chiusura dei cinema? C'è molto di più. Abbiamo perso il luogo di aggregazione sociale per vedere i film insieme a tutti i nostri amici, e aspettare con trepidazione la fine per commentare la trama, la regia e l'interpretazione degli attori. Abbiamo perso la qualità delle storie: le piattaforme digitali producono film velocemente per fornire continuamente il mercato di titoli nuovi peccando di stile e originalità. Abbiamo perso la sensazione di completa immersione che ti regala la sala del cinema, che non sarà mai paragonabile ad una visione da divano o da letto. Abbiamo perso tanto, sperando che torni presto la normalità. Tutto questo tempo in cui siamo stati distanti dalle sale cinematografiche, sicuramente ci ha reso più consapevoli sul reale valore e significato del cinema. Valore che vorremmo condividere al più presto con il nostro paese che, se non riuscisse a riaprire lo storico Cinema Arlecchino, potrebbe trovare altre soluzioni come un cinema all'aperto estivo o un cineforum per il dibattito diretto tra la gente. Cosa ne pensate signore e signori? Visitate la mia pagina Facebook “Captain Movie” e fatemi sapere! AUTORə: Leonardo Malaigia
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I rifiuti sono parte integrante della nostra quotidianità. Solo in Italia, nel 2019 sono stati prodotti circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti1 . Dei 6.3 di rifiuti in plastica generati finora, solo il 9% è stato riciclato. Il restante 79 % è stato accumulato in discariche o disperso in ambienti naturali2. Urge sempre di più una rivoluzione culturale e sociale, attraverso la quale si trasmetta informazione alla popolazione per l’attuazione di pratiche sostenibili, e si concretizzi un sistema economico circolare basato sulla rigenerazione di materie prime. Un punto di riferimento per il concetto di rigenerazione rifiuti è il libro “Dalla culla alla culla”, di Michael Braungart e William McDonough. La nozione base proposta nell’introduzione del libro è che “riciclare non è sufficiente”. Il modello “dalla culla alla culla” si fonda su un’economia circolare, nella quale un prodotto viene progettato, creato, ed offerto, considerando il suo intero ciclo di vita, ed il suo seguito. Attraverso questo sistema ciclico vengono rigenerate materie prime recuperate dal flusso di massa di materiali precedentemente utilizzati. Ad esempio, i beni durevoli (automobili, televisori, cellulari, fibre sintetiche ecc.) vengono disassemblati a seguito del loro utilizzo da parte del consumatore, col fine di recuperare i componenti tecnici che andranno a produrre nuovi beni durevoli. In tal modo i materiali vengono utilizzati continuamente nel cosiddetto “ciclo tecnico”. I beni di consumo come vestiario, prodotti cosmetici, detergenti, vengono invece pensati e creati con l’uso di materiali che possono essere reinvestiti nel “ciclo biologico”. Una volta “gettati”, serviranno da nutrienti biologici per la crescita di nuove materie prime, ad esempio di piante, che costituiranno la base di successivi prodotti. Il modello sottolinea l’importanza di mantenere separati il ciclo tecnico da quello biologico, in maniera tale da non creare i cosiddetti “ibridi mostruosi”, ossia quei prodotti realizzati con componenti tecnici e naturali non separabili, e quindi non riutilizzabili nei rispettivi cicli. Il principio base del modello è quello di garantire qualità prima di quantità, e di massimizzare i benefici per l’uomo, l’ambiente, e la conservazione di materie prime. Il libro fa riferimento all’albero del ciliegio come esempio di “eco-efficacia”, nel quale ogni elemento, dai fiori ai frutti, inclusi quelli che cadono a terra, vanno a nutrire l’albero stesso e l’ecosistema attorno ad esso. I concetti preposti non rappresentano utopie, ma linee guida possibili ed utilizzate nella produzione industriale già da tempo dai due autori, l’architetto americano Mcdonough e il chimico tedesco Braungart. Fino ad oggi abbiamo costruito un modello di economia nel quale si predilige la quantità rispetto alla qualità, ma soprattutto abbiamo reso i rifiuti parte integrante della normalità. Consapevolezza e richieste da parte dei consumatori verso ciò che viene prodotto sono essenziali per garantire un impegno dalle industrie produttrici e porre le basi per un cambiamento economico e sociale. Esempi di iniziative “zero-waste”, ossia “rifiuti zero”, sono già largamente diffuse in tutto il mondo, anche in Italia. Nel 2007 Capannori è stato il primo Comune d’Italia ad attuare una strategia “Rifiuti Zero”, introducendo una rivoluzione culturale di economia circolare ed arrivando a differenziare ben l'88,13% dei suoi rifiuti (dati 2017 certificati dalla Regione Toscana nel 2018). Dall’iniziativa sono nati numerosi progetti, come “Famiglie Rifiuti Zero”, che mira a diffondere informazione e creare una comunità consapevole riguardo a temi di sostenibilità ambientale. Le famiglie aderenti ricevono agevolazioni e sconti se si utilizzano pannolini lavabili o se viene praticato il compostaggio domestico. Nel comune sono inoltre presenti centri dove è possibile donare oggetti non utilizzati per ri-collocarli su un mercato solidale, mentre la squadra speciale “acchiapparifiuti” si occupa di recuperare rifiuti abbandonati individuati dalle segnalazioni dei cittadini via Whatsapp. Kamikatsu, un piccolo villaggio a sud-ovest del Giappone, dal 2005 si è proposto di abbandonare completamente l’uso di inceneritori e riciclare il 100% dei rifiuti prodotti dai suoi abitanti. Ad oggi, l’81% degli scarti vengono rigenerati dallo Zero Waste Center, un’isola ecologica in cui i cittadini differenziano personalmente i propri rifiuti. Solo il 19 % dei rifiuti rimanenti, che hanno difficoltà ad essere riciclati (ad esempio pannolini e prodotti sanitari), vengono loinceneriti. La comunità di Kamikatsu è divenuta un punto di riferimento di gestione e rigenerazione di rifiuti in un Paese, il Giappone, che è il secondo più grande produttore al mondo di plastica dopo gli Stati Uniti. I cambiamenti sociali partono dal cittadino, da ciò che richiede e dimostra di voler migliorare. Nel caso della rigenerazioni di rifiuti, i cambiamenti possono avere inizio all’interno delle nostre stesse case, rivalutando ciò che gettiamo ogni giorno. L’attitudine più diffusa è quella di ignorare i processi successivi allo scarico dei nostri rifiuti nei bidoni. E’ comprensibile, siamo abituati ad acquistare grandi quantità di prodotti a ritmi frenetici, e sarebbe impossibile chiedersi dove vanno a finire tutti quegli oggetti. Una consapevolezza può essere costruita a piccoli passi nella scelta di ciò che acquistiamo e nel riutilizzo in casa di quei prodotti che possono rigenerarsi in nuovi materiali anziché diventare rifiuti. Come comprovato dalle varie tesi non è più sufficiente riciclare al giorno d’oggi, dobbiamo quindi promuovere un’azione di riutilizzo degli oggetti e dei materiali adoperati nella quotidianità dandogli nuova vita. Ognuno di noi ha la possibilità e il dovere di poter contribuire nella diffusione e nell’impiego di questi piccoli accorgimenti che a lungo termine possono fare la differenza. Consigli pratici per uno stile di vita sostenibile: A CASA
1 Rapporto Rifiuti Urbani ISPRA 2020, www.isprambiente.gov.it 2 https://www.nationalgeographic.com/science/article/plastic-produced-recycling-waste-ocean-trash-debris-environment Autorə: Giulia Cecchi, Laura Milozzi |
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AuthorsNOEMI IACOPONI (she/her) Archives
December 2021
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