“Basta vivere da uomini, cioè cercare di spiegare a se stessi il perché delle azioni proprie e altrui, tenere gli occhi aperti, curiosi su tutto e tutti, sforzarsi di capire; ogni giorno di più l'organismo di cui siamo parte, penetrare la vita con tutte le nostre forze di consapevolezza, di passione, di volontà; non addormentarsi, non impigrire mai; dare alla vita il suo giusto valore in modo da essere pronti, secondo le necessità, a difenderla o a sacrificarla. La cultura non ha altro significato”. 1
Durante una pandemia mondiale, in cui la staticità e la pigrizia potrebbero prendere il completo sopravvento, cosa significa non “addormentare” le consapevolezze, le passioni, le volontà? Come ci si può riuscire? In che modo la cultura, oggi più che mai, può ancora avere questo significato? Se ad Aprile 2021, le ricerche dell’AIE (Associazione Italiana Editori) registrano una crescita del 26,6% nella vendita di libri, con la ripresa d’importanza della carta stampata, può voler dire che leggere, durante il lockdown, è stata un’esperienza rigeneratrice e capace di non far addormentare. Come sembrano confermare le statistiche, il primo passo per combattere il rischio dell’apatia mentale e di un “impigrimento” culturale, sta nel semplice acquisto di un libro. Il significato di cultura come mezzo, per “dare il suo giusto valore” alla vita e penetrarla con consapevolezza, può essere abbracciato anche attraverso iniziative come quella di questo blog che il Common Bubble ha voluto animare. Mettere in circolo idee attraverso il confronto, il dialogo, lo scambio significa - continuando a rimandare alla citazione iniziale - “vivere da uomini”, farlo insieme e permettere la rigenerazione di uno spazio culturale che sia, poi, in grado a sua volta di rigenerare. La cultura diventa, così, uno spazio in cui rigenerarsi, in diversi sensi: è un ristoro per l’anima se pensiamo alla storia di un libro che ci fa viaggiare con la sola fantasia; è un beneficio per il vivere sociale perché nasce da confronti dialettici, basati sulla condivisione di esperienze e l’ascolto degli altri; ha valore politico nel senso di “cosa pubblica” perché è in grado di sollevare questioni, porre interrogativi, e stimolare la ricerca di soluzioni. Va detto, però, che oggi questa nostra visione di cultura come spazio che rigenera è quasi di controtendenza, soprattutto dal punto di vista politico-economico. La pandemia, infatti, ci ha dimostrato come i cinema, i teatri, le mostre, gli spettacoli, i concerti, possano meritare un posto tra gli ultimi nella lista delle priorità e dei bisogni della società italiana. “Festival di Sanremo 2021 26 cantanti solo tra loro oltre cinquantamila concerti oltre mille live club oltre diecimila persone che non lavorano più da un anno ma non sarà per sempre credeteci i nostri fiori non sono ancora rovinati.” 2 Così si concludeva l’esibizione dello Stato Sociale nella terza serata del festival di Sanremo in pandemia, con un richiamo ai tanti lavoratori e ai tanti artisti che viaggiano nella macchina della cultura. Perché, però, dev’essere richiesta in Eurovisione l’attenzione ad un problema che riguarda qualcosa di così profondamente intrecciato con la vita di ognuno, di così vicino a ciascuna esistenza? La cultura ridotta ad accessorio, passatempo, intrattenimento opzionale perde ogni sua valenza, ogni potere e viene svuotata della sua energia capace di rigenerare, agitare, mettere in moto, di cui invece, proprio a seguito di uno stop così brusco e forzato, ogni società civile intelligente avrebbe bisogno. Tornando indietro nel tempo troviamo un esempio di come la cultura sia stata utilizzata intelligentemente per rigenerare un paese in crisi. L’Italia reduce dal fascismo e dalla guerra, infatti, ha fame di cultura e bisogno di conoscere: Elio Vittorini, alla direzione del periodico “Politecnico”, vuole soddisfarne le richieste attraverso un’elevazione del livello culturale; la formazione di una coscienza politica; la promozione del contributo delle masse. L’idea del “Politecnico” nasce a Milano, tra il 1943 e il 1944. Si tratta di una data significativa, storicamente legata alle vicende della Seconda guerra mondiale, del dopoguerra, del fascismo e del suo declino. Viene ideato negli anni della Resistenza e spinge dalla necessità improrogabile di rigenerare una nuova cultura che si occupi di “pane e lavoro” (così dirà Vittorini). I giovani sono il referente privilegiato, sia come destinatari che in qualità di fautori di una cultura che raccolga le ceneri della guerra e fondi la rinascita della società italiana del dopoguerra. La nuova cultura del “Politecnico” si basa su un discorso tra le arti, tra i diversi interessi; sull’apertura internazionale e sulla prospettiva di un modo lucido, penetrante e molteplice di presentare i problemi del paese. La dimensione, a livello editoriale, è quella di un laboratorio, aperto, teso ad un costante rinnovamento e costituito da personaggi provenienti da diversi ambiti. La letteratura del dopoguerra, quella che tenta di rigenerare e rigenerarsi, è inedita e strettamente collegata alla vita, coniuga l’arte e la cultura alla società. La cultura può, quindi, davvero giocare un ruolo importante nella ripartenza di un paese e non essere solamente qualcosa di superfluo. In passato è stata, come abbiamo visto, capace di generare nuovamente stimoli significativi perché le è stato riconosciuto il giusto peso e ne è stato valorizzato il significato. Non farlo oggi è pericoloso e penalizzante soprattutto per le generazioni future. Per ribadire come la cultura sia in grado di operare e di svolgere un’azione determinante possiamo ricordare due esempi della letteratura distopica. Da una parte in Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, dove la lettura è reato e ogni libro è condannato all’incendio; dall’altra 1984 di George Orwell ci descrive come la privazione del linguaggio, che genera la morte delle idee, consenta al potere di assoggettare una società. La mancanza di cultura, perciò, indebolisce, subordina e svuota l’uomo: dovrebbe essere naturale, quindi, coglierne il peso e l’essenza capaci di essere benefici, produttori, rigeneratrici di una società consapevole. La letteratura e la cultura, dunque, sono in grado di rigenerare nel momento in cui mettono in moto processi, aprono prospettive, mostrano direzioni e promuovono dialoghi. E forse il motivo per cui l’esperienza letteraria può essere rinnovatrice anche di una società è perché essa nasce ed emerge penetrando a fondo le stesse dinamiche sociali. Con le parole di Vittorini: “un libro è come se fosse stato scritto impersonalmente, da tutti coloro che hanno avuto o conosciuto o comunque sfiorato la mia stessa esperienza”. 3 E se un libro è di tutti coloro che sono immersi in una società; la cultura, le idee, il pensiero, non possono che essere capaci di immettere nel contesto dal quale sorgono istanze di rinnovamento e promuovere stimoli capaci di innescare la rigenerazione di qualcosa. 1 Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1947. 2 Lo Stato Sociale, Non è per sempre in Combat Pop, Garrincha Dischi, 2021. 3 Elio Vittorini, Prefazione al Garofano rosso, Mondadori, Milano, 1948. AUTORə: Noemi Iacoponi, Laura Milozzi, Federica Coccetti.
1 Comment
Cathe
6/23/2021 18:05:36
Grandissimə! Grazie per il lavoro!
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